Ciao a tutti, sono ancora tramortito dall’ascolto del terzo incontro! Vorrei fare una domanda:
Mi sembra di aver capito che la relazione è proprio costitutiva del rapporto trinitario ma anche ma anche del rapporto tra Dio e noi, come dire che non esiste l’individuo ma esiste in quanto relazione.
Allora, potremmo dire che nelle nostre quotidiane relazioni che sono come minimo distorte,a volte anche molto conflittuali è sbagliato pensare ad un individuo (tipo io) che cerca di essere migliore (buono) attraverso la pratica spirituale e poi si relaziona, ma è la relazione stessa che porta in se la forza, la potenza della redenzione operata da Cristo proprio lì nella ferita anche grave della relazione in modo magari misterioso ma reale e che la pratica serva solo ad essere illuminati in modo da saper cogliere lo Spirito di trasformazione e di guarigione dentro la relazione e portarla a compimento?
E a che serve l’individuo in sé allora?
Grazie a tutti
Claudio.
Carissimo Claudio
Forse possiamo soffermarci sul significato dei termini, direi che “individuo” è un termine egoico perché nella quotidianità noi lo viviamo come un io separato dagli altri e quindi da Dio.
La relazione compiuta quella con la nostra fonte però non annulla l’io come “identità” (termine che preferisco), bensì lo trasforma lo rende “Cristico”.
Quindi tu Claudio nello stato di relazione e nel suo compimento in Cristo sei sempre Claudio con la tua unicità con la tua specifica missione che forse è diversa da quella mia e da quella di chiunque altro, ed è giusto così, perché dipende dal carattere, dalle inclinazioni, dal desiderio insito nel profondo di ognuno di noi.
Dio ci ama proprio nella nostra unicità e ci vuole unici!
Non so se mi sono espressa chiaramente, comunque forse capiremo meglio tutto questo proseguendo con i prossimi incontri che ci faranno comprendere chi diventiamo noi lasciando nascere Dio in noi.
Grazie comunque per condividere i tuoi pensieri anche i tuoi dubbi, perché ci aiutano nel dialogo in questo luogo di crescita interiore. Ti abbraccio!
Direi che questa terza lezione ci porta potentemente e coerentemente nell’ottica di fede, dalle premesse alle conseguenze. Rilanciando al contempo tutto il mio entusiasmo e tutta la mia resistenza, in una unica strana eterogenea soluzione.
Quella che segnalo qui non è dunque una eccezione nel merito logico o anche metafisico dello svolgimento, che trovo di un rigore espositivo inappuntabile. Piuttosto, una difficoltà personale, di lunga data ma piuttosto viva, ancora oggi. E che è agganciata strettamente alla domanda che ho posto a Marco, sul farsi vuoto.
Devo spiegarmi. Marco dice ad un certo punto “Nessuno sa più nulla di niente. E si sta benissimo”. Ha ragione! In diversi momenti di acuto disagio psicologico, effettivamente, ho provato un certo misterioso ristoro nel “permettermi” di non sapere niente di niente, niente del mondo, e nemmeno di me. Osservare me e l’esterno, senza giudizio e senza schemi, nemmeno schemi spirituali (qui è il punto). In questo ho sentito un soffio di libertà, sono uscito per un attimo dalla rigidità schematica con cui vedo e giudico.
In realtà gira una questione sul senso di colpa che mi affligge da anni (in passato è stata davvero devastante), e non esito a ricondurne le cause ad un vissuto psicologico. Venendo allo specifico, nel vuoto “completo” riesco a lasciar andare il giudizio su me stesso, e anche nella confusione, un po’ sto meglio. Nel vuoto “cristiano” permane in me una struttura ultima di tensione, che si articola sostanzialmente in una nota dominante, un basso continuo che suona come “sì ma non sono abbastanza ok” (bravo/puro/morale/coerente/etc..).” Sono davanti a questa Presenza, in questo vuoto “spirituale”: ne sento il conforto ma ne temo acutamente il giudizio.
Questa è la parte problematica, che è mischiata però ad una parte di speranza.
Sento infatti che c’è una prospettiva, un salto, che permette di abbandonarsi anche con tutte le proprie imperfezioni “oerfette” (nel senso, che stanno lì da anni e non se ne vanno, con formidabile inossidabilità), fidandosi ugualmente. Ancora non mi riesce di saltare, ma davvero vorrei.
In sintesi estrema: ancora oggi, la fede mi suscita un entusiasmo e senso di liberazione (per cui non la voglio mollare), e senso di colpa (per cui soffro spesso).
Far spazio al primo sul secondo (che magari è appena una ultima resistenza dell’ego), senza aspettare di diventare perfetto, o risolvere questo o quel problema. Allora sì che questo vuoto sarebbe “benedetto”, davvero, nella mia vita. In fondo, è questa speranza che mi ha attirato qui, e mi ci mantiene. Con diverse ragioni, mi sembra.
Non so se sono riuscito a spiegarmi bene; del resto, più prosegue il cammino DP e più attingo a strati di sincerità profonda. Se questo mi pare positivo, non mi è però chiaro quanto immediatamente condivisibili. Accoglierò il vostro giudizio in tale senso.
Un abbraccio grande,
Marco
Caro Marco, ti sei spiegato molto bene! Comprendo lo stato che si vive nel condizionamento del senso di colpa e quanto sia d’ostacolo alla nostra piena realizzazione . Grazie per offrirci le tue riflessioni sono uno spunto di lavoro per tutti noi.
Da ciò che ci comunichi cercherò di porre in evidenza gli aspetti di speranza che hai colto in te che mi sembrano dei punti molto forti e puntuali a questo punto del nostro cammino.
La prima prospettiva riguarda la scelta di fede. Stiamo e stai comprendendo che la scelta di fede cristiana è qualcosa che ci coinvolge integralmente, non possiamo dirci che siamo cristiani se non ci poniamo concretamente in uno “stato di fede” che è una condizione reale di profondo svuotamento di tutto ciò che credo di sapere di me , di Dio e del mondo, per aprirci all’esperienza interiore dell’essere in relazione dialogica con Dio, uno stato di tutta unità senza separazione.
E’ importante conoscere, comprendere e rilanciare la scelta di fede che stiamo compiendo perché da ciò che credo ne consegue la mia concreta esperienza iniziatica.
La seconda prospettiva è il tuo forte anelito a “ buttarti .. “ pronto ad abbandonare ogni resistenza per lanciarti fiduciosamente nelle mani sapienti della Parola di vita. Lo svuotamento, nell’ orizzonte della scelta di fede cristiana trova nuovo senso dove il “fare spazio” è un atto interiore di completo affidamento in ciò che credo. Mi affido, mi abbandono, aderisco per fede a Cristo, compio un deciso e reiterato atto di rinuncia, rinuncio ad ogni pensiero che mi tiene ancorato al mio rigido giudizio, spengo il riflettore del mio occhio che controlla e misura , che mi colpevolizza e affido ciò che oggi posso offrire di me, della mia consapevolezza, per ascoltare la Parola bene detta che mi salva, adesso!
Per orientare e sostenere questi passaggi fondamentali, in questo momento, caro Marco, possiamo approfondire l’esperienza interiore dell’abbandono per introdurci sempre più compiutamente nell’esperienza contemplativa dei misteri della nostra salvezza e lasciarci illuminare dal proiettore che corregge il nostro sguardo e lo irradia con la luce della Sapienza.
Buona continuazione e auguri per una esperienza sempre più viva e profonda.
Vanna
Cara Vanna,
leggo con gratitudine questa risposta. Prima ancora di ‘risolvere’ il problema – che poi si comprende come sia una “risoluzione” che è aperta alla mia libertà e alla Sua azione, al nostro cammino stesso – come ricaduta immediata, benefica, percepisco proprio con grande gratitudine il conforto di disporre di questo spazio per poter esprimere queste difficoltà e queste parti “oscure”, in un ambiente protetto e amichevole, “non giudicante” direbbe la mia dottoressa… ed è proprio così che sta avvenendo.
Così come è avvenuto quella prima volta che ci siamo incrociati, a Santa Marinella, così come è avvenuto nel dialogo con gli altri formatori, in questi anni.
E’ così che vanno le cose, da quanto capisco. Lui di solito non ti manda una soluzione bella scritta (che potrebbe poi forzare la libertà), ma ti mette in un ambiente, dove ci sono persone, persone e “momenti di persone” che ti accompagnano nel cammino verso la soluzione.
“Perché in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di persone, da guardare” diceva il “mio” Don Luigi. Anche qui aveva ragione. Qui nella frase e qui, in questo esatto luogo.
Grazie di cuore,
Marco
Grazie, carissimo Marco, per questo incontro! L’ho trovato pieno di elementi cruciali anzi pieno del contenuto centrale del nostro cammino: l’Assoluto è la relazione. Dio è Relazione. Ma arrivare a tale conclusione mediante i vari passaggi e chiarimenti da te esposti, è stato per me un dono di valore inestimabile. Una comprensione sempre più ampia, ricca di elementi riflessivi può aprirci e farci aderire con più convinzione, passione, totalità alla fede in Gesù Cristo –Colui che salva e fa di noi dei salvatori…! E questo mi aiuta a non dare nulla per scontato –come in tante occasioni ci ricordi- di ciò che credo di sapere… E seriamente, alla luce di queste maggiori consapevolezze, mi trovo dentro un interrogativo: cosa significa per me essere cristiana? Anzi, sono cristiana? E qui cala un grande silenzio interiore…non di confusione e imbarazzo (un pochino c’è anche questo) ma di desiderio di essere in ascolto. Un ascolto autentico, scevro di giudizio, che si fa veicolo e luogo di incontro e trasformazione.
Le citazioni che hai fatto di Giovanni della Croce, mi hanno colpito particolarmente perché proprio in questo periodo ho ripreso la “Salita al Monte Carmelo” e mi sono fermata davanti a quei versetti così sconvolgenti e indicati dal santo come la via per giungere all’Unione.
E ora, mi trovo in piccole esperienze di quel “per giungere a ciò che non sai, devi passare per ciò che non sai”…
Non so se sono riuscita ad esprimermi con chiarezza.
Comunque grazie di cuore!
Un abbraccio pieno d’affetto,
Agata
Cari amici,
un paio di domande di chiarimento (sopratutto bibliografico). Quali sono i titoli che Marco ha consigliato durante questo incontro? Io ho annotato i seguenti, ma non sono sicuro di aver capito bene:
– Gerhard Panderlöwe, fenomenologia delle religioni (CERCANDO SU INTERNET NON TROVO NEANCHE IL NOME DELL’AUTORE COME ESISTENTE, PROBABILMENTE HO ANNOTATO QUALCOSA DI SBAGLIATO)
– Avilleseau, tradizione indù e mistero cristiano (ANCHE DI QUESTO TESTO AUTORE TROVO TRACCIA SU INTERNET.. anche qui ci sarà un errore…)
Una domanda tecnica a Marco:
Quali sono gli 8 passaggi dello Yoga a cui fai accenno? Perché noi nella nostra meditazione abbiamo “solo” 5 passaggi e non 8?
Ciao Emanuele
PS per Marco: sappi che avrò la pazienza di aspettare il settimo anno, e sarò senza pietá nel fare domande sulla teodicea, tema che mi interessa molto ;-P
… un’utlima domanda: Marco parlava di un suo “post” riguardo alla affermazione del Padre Benedettino, secondo la quale Dio avrebbe punito gli italiano con il terremoto. Dove trovo questo post? Postreste quantomeno mandarmi il testo?
Grazie Emanuele
Caro Emanuele,
il post di Marco è stato pubblicato su Facebook il 6 novembre (te lo copio qui di seguito).
Per quanto riguarda gli autori, si tratta di Gerardus van der Leeuw e di Henri Le Saux (il titolo esatto è: Tradizione indù e mistero trinitario).
Gli 8 passaggi della tradizione yogica, secondo lo Yoga Sutra di Patanjali, sono Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. Ovviamente siamo all’interno del sistema filosofico dell’induismo, un po’ diverso dal nostro orizzonte, anche se possiamo trovare molte similitudini con i precetti, le raccomandazioni morali, e il cammino mistico della spiritualità cristiana.
La nostra pratica completa prevede 10 stadi, di cui i primi cinque propriamente meditativi. Nel libro Yoga e preghiera cristiana è possibile approfondire il senso di queste differenze.
Ti aspettiamo al 7° anno, ben felici di assistere ai tuoi ‘assalti’ teorici!
Un abbraccio e buona giornata a tutti!
Paola
FB Darsi Pace
Pubblicato da Marco Guzzi · 6 novembre alle ore 9:35 ·
D’accordo Padre Cavalcoli
ha detto una cosa molto sgradevole,
parlando di castigo divino
in merito al terremoto. Ma
vogliamo anche ricordare
che questa dottrina
di un Dio che castiga gli uomini
con ogni genere di sventura o catastrofe
è stata tranquillamente
e ininterrottamente predicata per secoli
da papi e da santi? Benedetto XV, ad esempio,
scriveva durante la Prima Guerra Mondiale:
“le private sventure
sono meritati castighi,
o almeno esercizio di virtù per gli individui,
e i pubblici flagelli sono espiazione
delle colpe
onde le pubbliche autorità e le nazioni
si sono allontanate da Dio”.
E ancora Giovanni Paolo II dichiara:
“Dio ricorre al castigo
come mezzo per richiamare sulla retta via
i peccatori sordi ad altri richiami”.
Per non parlare di san Tommaso d’Aquino:
“Quando è tutto il popolo che pecca,
la vendetta va fatta su tutto il popolo,
come furono sommersi nel mar Rosso gli Egiziani
che perseguitavano i figli d’Israele,
e come furono colpiti in blocco gli abitanti di Sodoma;
oppure va colpito un numero rilevante di persone,
come avvenne nel castigo inflitto
per l’adorazione del vitello d’oro.”
Insomma l’insegnamento della Chiesa
appare non poco confuso:
da una parte si ribadisce
la dottrina del castigo di Dio
– che meritiamo per i nostri peccati,
come ripetiamo ad ogni confessione -,
e poi però la si nega scandalizzati
alla prima occasione concreta.
Dobbiamo cioè capire molto meglio
come sia possibile
da una parte liberare Dio
dalla sua immagine punitiva e arcigna,
e dall’altra però non negare
che un qualche nesso tra le nostre colpe
e i mali che soffriamo nel mondo
deve pure sussistere.
Questo salto del pensiero è possibile.
Marco Guzzi
Grazie Paola!! 😀
Scusate, ho dimenticato una cosa (per me) importante: sapreste dirmi da quali opere/articoli/interviste Marco cita Tommaso d’Aquino, Benedetto XV e Giovanni Paolo II nel suo post? Potreste mandarmi le referenze esatte per favore?
Emanuele peronalmente non so aiutarti tranne che per la citazione di Papa Govanni Paolo cioè:
Era il 13 agosto 2003 e Papa Wojtyla nella consueta Udienza generale del mercoledì, svolta a Castelgandolfo dato il periodo estivo, così si esprimeva commentando il Libro di Tobia: “Lungo tutto il Cantico del capitolo 13 di Tobia si ripete spesso questa convinzione: il Signore «castiga e usa misericordia… castiga per le vostre ingiustizie ma usa misericordia a tutti… ti ha castigata per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per i figli dei giusti» (vv. 2.5.10). Dio ricorre al castigo come mezzo per richiamare sulla retta via i peccatori sordi ad altri richiami.”
Ciao Gabriella
Caro Marco, con la presentazione della tua primogenita Gloria, hai toccato un tasto molto sensibile anche per me.
Nell’accogliere con un sorriso e simpatia questa tua gioia paterna, non posso fare a meno di chiedermi anch’io che padre sono stato, o che ancora sono con la mia terz-ultima figlia che penso all’incirca dell’età della tua primogenita , ma ancora nel pieno della sua faticosa e dolorosa ricerca di sé.
Per molti anni , con la mia povertà di padre , più etico che empatico, sono rimasto senza parole dietro la porta chiusa che c’era tra noi. Una porta che quando veniva aperta , o alla quale bussavo maldestramente, mostrava solo il drammatico dolore della nostra incomprensione.
Eppure in questa nostra sofferenza , oggi mi accorgo, ci siamo aiutati a crescere nella scoperta delle nostre differenze e similitudini , non più temute, ma accolte , almeno da parte mia, come il dono di una reciproca generazione, che una figlia dona al padre e il padre alla figlia. Insomma , come avviene nella dinamica del mistero trinitario relazionale che ben spieghi in questo terzo incontro.
Per anni ho vissuto l’impotenza di un padre escluso, tenuto lontano, particolarmente temuto dal mutismo della mia terzultima figlia che allora non capivo, ma che oggi , grazie anche al lavoro di del triennio di base, scopro invece lei ha vissuto profondamente quel percorso iniziatico di morte e rinascita, che io contemplavo ma dal quale mi teneva a distanza dal suo, perché lo doveva vivere dentro il suo proprio corpo.
Quel passaggio insurrezionale, a cui l’urgenza della vita ci richiama a tutte le età, per rifondare la nostra vita dall’interno della nostra anima e della nostra mente, per la salvezza dei nostri corpi e dello stessa vita del pianeta – specie in tempo di ” Trump-ismo” .
Dopo lunghi anni di silenzi, di vissuti di paterna e umana impotenza, ma non solo di sofferenza, ma anche di verità reciproche , per pudore, tenuteci nascoste, scopro il miracolo di un nostro sguardo nuovo, tra di noi, finalmente più affettuoso, poiché entrambi emersi da una morte che credevamo reale, mentre invece era solo il tempo di attesa nel grembo divino, dal quale stavamo per rinascere.
Così oggi, posso dire – grazie al miracolo della vita – in cui oso credere – che sono finalmente più capace di fiducia verso mia figlia, pià libero da paure ossessive, più consapevole della bontà del percorso interiore di trasformazione che anche mia figlia, a modo suo, sta compiendo pur diverso dal mio, per la ricerca del suo Io autentico, viscerale, spirituale, quelle che lei dice magico, quello che conta.
Insomma, consapevole anch’io del mio e suo stesso cammino trasformativo , per il quale oggi , sento di ringraziare il Signore Gesù, e tutte le persone credenti o non credenti, non mi importa, che hanno saputo donare a mia figlia e a me , parole di vita e gesti concreti di vicinanza e di nuova relazionalità, più capace di condividere emozioni e affetti.
Grazie ovviamente anche a te, caro Marco, tipo tosto che cerco sempre di interpretare senza mai , per fortuna, riuscirci, e alla tua simpaticissima figlia Gloria, gioiosa di Darsi Panni , bella metafora del darsi anche un nuovo abito esteriore, dopo aver cambiato quello interiore.
Un caro e affettuoso abbraccio a papà Marco e mio maestro. Ti ascolterò questa sera , con altri amici del gruppo di Palazzolo , dalla platea della tua conferenza a Bergamo ,
Ivano
Ciao amici di DP …
Mi sono presa il tempo questo pomeriggio per leggere i vari e ricchi post e non ho che da dire grazie per il bene che fa a chi li legge e comprende un pezzetto in più.
Il tema del “farsi vuoto”, ancora tanto velato per me, mi è rimasto dentro da quando ho ascoltato la registrazione del terzo incontro e ieri mi trovavo con il gruppo dei volontari che fanno visita agli anziani della borgata per commentare la Parola di questa seconda domenica di Avvento ed è stato automatico per me leggere il Vangelo di Matteo (3,1-12) e ritrovare il “vuoto” come condizione per fare un passo avanti, per fare spazio ad un Tu che molto spesso do per scontato.
<<>>
Farisei e sadducei sono uomini della religione, uomini con un ruolo ben preciso al tempio, nelle “cose di Dio” e danno per scontata la loro appartenenza e dunque il fatto di essere a posto, salvati automaticamente, privilegiati, santi. Non sanno fare il vuoto, dentro di loro c’è la presunzione, quella stessa che ritrovo in me, non senza un po’ di disagio e vergogna, quando mi sento a posto, perchè ho fatto tutto quello che dovevo fare. Altro che vuoto, altro che conversione, che è poi quel passaggio di morte e di vita!!!
Come loro, mi ritrovo a dare per scontato le mie origini cristiane, il mio cammino all’ombra di persone che mi hanno educato alla fede, la scelta di vivere con un determinato stile, poi l’adesione alla chiamata di Dio nella consacrazione religiosa … Ma scontato non è. Nel ringraziare Dio per le persone che mi hanno introdotta alla fede, che mi hanno parlato di Dio con la vita più che con tante parole, resta da parte mia un sì che va detto momento per momento, in quel vuoto cercato e ancora non raggiunto, dove parole, dialoghi interni, moti del cuore di un cuore ancora troppo ego-centrato fanno da padroni e dove con caparbietà, giorno dopo giorno, momento dopo momento, riparto da capo e provo a fare SILENZIO.
E allora ecco il senso di un abbigliamento di Giovanni il Battista un po’ demodé. La sobrietà nello stile di vita, il digiuno, la penitenza non sono atti di culto a Dio per farsi accettare, per ottenere benedizione e meriti al suo cospetto, ma una scelta che va nella linea del “fare il vuoto”, uno stile di sobrietà che non penalizza, ma permette di non riempirsi di cose, di sicurezze, di certezze, di “polizze per il futuro” invece che dell’Essenziale.
Pensieri arruffati!
ciao a tutti e grazie sempre!
Mi sono resa conto che sono rimaste le virgolette vuote, perchè avevo copiato e incollato un passo del brano del Vangelo che poi non è rimasto, una volta cliccato il commento.
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”».
Ciao cara Damiana, grazie per la profonda riflessione che ci doni in questo periodo di avvento.
Le tue parole, altro che arruffate, si sintonizzano armonicamente con i passi che stiamo compiendo in questa terza annualità e che ci stanno conducendo verso la reale esperienza contemplativa dei misteri della nostra salvezza, la “venuta” della nuova umanità in noi.
L’ esperienza dello spogliamento, lo svuotamento di ogni pensiero che ci tiene ancorati allo scoglio del nostro giudizio, è l’azione concreta che ci permette di scoprire l’infinità e l’essenzialità della vita vissuta nella fede, nell’abbandono e assorbiti nel silenzio siamo semplicemente in relazione con Vita.
Buona festa dell’Immacolata Concezione per vivere fiduciosamente l’attesa della venuta di Cristo in te, in ognuno di noi, polizza sicura per una vita incessantemente luminosa.
Ciao a tutti, sono ancora tramortito dall’ascolto del terzo incontro! Vorrei fare una domanda:
Mi sembra di aver capito che la relazione è proprio costitutiva del rapporto trinitario ma anche ma anche del rapporto tra Dio e noi, come dire che non esiste l’individuo ma esiste in quanto relazione.
Allora, potremmo dire che nelle nostre quotidiane relazioni che sono come minimo distorte,a volte anche molto conflittuali è sbagliato pensare ad un individuo (tipo io) che cerca di essere migliore (buono) attraverso la pratica spirituale e poi si relaziona, ma è la relazione stessa che porta in se la forza, la potenza della redenzione operata da Cristo proprio lì nella ferita anche grave della relazione in modo magari misterioso ma reale e che la pratica serva solo ad essere illuminati in modo da saper cogliere lo Spirito di trasformazione e di guarigione dentro la relazione e portarla a compimento?
E a che serve l’individuo in sé allora?
Grazie a tutti
Claudio.
Carissimo Claudio
Forse possiamo soffermarci sul significato dei termini, direi che “individuo” è un termine egoico perché nella quotidianità noi lo viviamo come un io separato dagli altri e quindi da Dio.
La relazione compiuta quella con la nostra fonte però non annulla l’io come “identità” (termine che preferisco), bensì lo trasforma lo rende “Cristico”.
Quindi tu Claudio nello stato di relazione e nel suo compimento in Cristo sei sempre Claudio con la tua unicità con la tua specifica missione che forse è diversa da quella mia e da quella di chiunque altro, ed è giusto così, perché dipende dal carattere, dalle inclinazioni, dal desiderio insito nel profondo di ognuno di noi.
Dio ci ama proprio nella nostra unicità e ci vuole unici!
Non so se mi sono espressa chiaramente, comunque forse capiremo meglio tutto questo proseguendo con i prossimi incontri che ci faranno comprendere chi diventiamo noi lasciando nascere Dio in noi.
Grazie comunque per condividere i tuoi pensieri anche i tuoi dubbi, perché ci aiutano nel dialogo in questo luogo di crescita interiore. Ti abbraccio!
Direi che questa terza lezione ci porta potentemente e coerentemente nell’ottica di fede, dalle premesse alle conseguenze. Rilanciando al contempo tutto il mio entusiasmo e tutta la mia resistenza, in una unica strana eterogenea soluzione.
Quella che segnalo qui non è dunque una eccezione nel merito logico o anche metafisico dello svolgimento, che trovo di un rigore espositivo inappuntabile. Piuttosto, una difficoltà personale, di lunga data ma piuttosto viva, ancora oggi. E che è agganciata strettamente alla domanda che ho posto a Marco, sul farsi vuoto.
Devo spiegarmi. Marco dice ad un certo punto “Nessuno sa più nulla di niente. E si sta benissimo”. Ha ragione! In diversi momenti di acuto disagio psicologico, effettivamente, ho provato un certo misterioso ristoro nel “permettermi” di non sapere niente di niente, niente del mondo, e nemmeno di me. Osservare me e l’esterno, senza giudizio e senza schemi, nemmeno schemi spirituali (qui è il punto). In questo ho sentito un soffio di libertà, sono uscito per un attimo dalla rigidità schematica con cui vedo e giudico.
In realtà gira una questione sul senso di colpa che mi affligge da anni (in passato è stata davvero devastante), e non esito a ricondurne le cause ad un vissuto psicologico. Venendo allo specifico, nel vuoto “completo” riesco a lasciar andare il giudizio su me stesso, e anche nella confusione, un po’ sto meglio. Nel vuoto “cristiano” permane in me una struttura ultima di tensione, che si articola sostanzialmente in una nota dominante, un basso continuo che suona come “sì ma non sono abbastanza ok” (bravo/puro/morale/coerente/etc..).” Sono davanti a questa Presenza, in questo vuoto “spirituale”: ne sento il conforto ma ne temo acutamente il giudizio.
Questa è la parte problematica, che è mischiata però ad una parte di speranza.
Sento infatti che c’è una prospettiva, un salto, che permette di abbandonarsi anche con tutte le proprie imperfezioni “oerfette” (nel senso, che stanno lì da anni e non se ne vanno, con formidabile inossidabilità), fidandosi ugualmente. Ancora non mi riesce di saltare, ma davvero vorrei.
In sintesi estrema: ancora oggi, la fede mi suscita un entusiasmo e senso di liberazione (per cui non la voglio mollare), e senso di colpa (per cui soffro spesso).
Far spazio al primo sul secondo (che magari è appena una ultima resistenza dell’ego), senza aspettare di diventare perfetto, o risolvere questo o quel problema. Allora sì che questo vuoto sarebbe “benedetto”, davvero, nella mia vita. In fondo, è questa speranza che mi ha attirato qui, e mi ci mantiene. Con diverse ragioni, mi sembra.
Non so se sono riuscito a spiegarmi bene; del resto, più prosegue il cammino DP e più attingo a strati di sincerità profonda. Se questo mi pare positivo, non mi è però chiaro quanto immediatamente condivisibili. Accoglierò il vostro giudizio in tale senso.
Un abbraccio grande,
Marco
Caro Marco, ti sei spiegato molto bene! Comprendo lo stato che si vive nel condizionamento del senso di colpa e quanto sia d’ostacolo alla nostra piena realizzazione . Grazie per offrirci le tue riflessioni sono uno spunto di lavoro per tutti noi.
Da ciò che ci comunichi cercherò di porre in evidenza gli aspetti di speranza che hai colto in te che mi sembrano dei punti molto forti e puntuali a questo punto del nostro cammino.
La prima prospettiva riguarda la scelta di fede. Stiamo e stai comprendendo che la scelta di fede cristiana è qualcosa che ci coinvolge integralmente, non possiamo dirci che siamo cristiani se non ci poniamo concretamente in uno “stato di fede” che è una condizione reale di profondo svuotamento di tutto ciò che credo di sapere di me , di Dio e del mondo, per aprirci all’esperienza interiore dell’essere in relazione dialogica con Dio, uno stato di tutta unità senza separazione.
E’ importante conoscere, comprendere e rilanciare la scelta di fede che stiamo compiendo perché da ciò che credo ne consegue la mia concreta esperienza iniziatica.
La seconda prospettiva è il tuo forte anelito a “ buttarti .. “ pronto ad abbandonare ogni resistenza per lanciarti fiduciosamente nelle mani sapienti della Parola di vita. Lo svuotamento, nell’ orizzonte della scelta di fede cristiana trova nuovo senso dove il “fare spazio” è un atto interiore di completo affidamento in ciò che credo. Mi affido, mi abbandono, aderisco per fede a Cristo, compio un deciso e reiterato atto di rinuncia, rinuncio ad ogni pensiero che mi tiene ancorato al mio rigido giudizio, spengo il riflettore del mio occhio che controlla e misura , che mi colpevolizza e affido ciò che oggi posso offrire di me, della mia consapevolezza, per ascoltare la Parola bene detta che mi salva, adesso!
Per orientare e sostenere questi passaggi fondamentali, in questo momento, caro Marco, possiamo approfondire l’esperienza interiore dell’abbandono per introdurci sempre più compiutamente nell’esperienza contemplativa dei misteri della nostra salvezza e lasciarci illuminare dal proiettore che corregge il nostro sguardo e lo irradia con la luce della Sapienza.
Buona continuazione e auguri per una esperienza sempre più viva e profonda.
Vanna
Cara Vanna,
leggo con gratitudine questa risposta. Prima ancora di ‘risolvere’ il problema – che poi si comprende come sia una “risoluzione” che è aperta alla mia libertà e alla Sua azione, al nostro cammino stesso – come ricaduta immediata, benefica, percepisco proprio con grande gratitudine il conforto di disporre di questo spazio per poter esprimere queste difficoltà e queste parti “oscure”, in un ambiente protetto e amichevole, “non giudicante” direbbe la mia dottoressa… ed è proprio così che sta avvenendo.
Così come è avvenuto quella prima volta che ci siamo incrociati, a Santa Marinella, così come è avvenuto nel dialogo con gli altri formatori, in questi anni.
E’ così che vanno le cose, da quanto capisco. Lui di solito non ti manda una soluzione bella scritta (che potrebbe poi forzare la libertà), ma ti mette in un ambiente, dove ci sono persone, persone e “momenti di persone” che ti accompagnano nel cammino verso la soluzione.
“Perché in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di persone, da guardare” diceva il “mio” Don Luigi. Anche qui aveva ragione. Qui nella frase e qui, in questo esatto luogo.
Grazie di cuore,
Marco
Grazie, carissimo Marco, per questo incontro! L’ho trovato pieno di elementi cruciali anzi pieno del contenuto centrale del nostro cammino: l’Assoluto è la relazione. Dio è Relazione. Ma arrivare a tale conclusione mediante i vari passaggi e chiarimenti da te esposti, è stato per me un dono di valore inestimabile. Una comprensione sempre più ampia, ricca di elementi riflessivi può aprirci e farci aderire con più convinzione, passione, totalità alla fede in Gesù Cristo –Colui che salva e fa di noi dei salvatori…! E questo mi aiuta a non dare nulla per scontato –come in tante occasioni ci ricordi- di ciò che credo di sapere… E seriamente, alla luce di queste maggiori consapevolezze, mi trovo dentro un interrogativo: cosa significa per me essere cristiana? Anzi, sono cristiana? E qui cala un grande silenzio interiore…non di confusione e imbarazzo (un pochino c’è anche questo) ma di desiderio di essere in ascolto. Un ascolto autentico, scevro di giudizio, che si fa veicolo e luogo di incontro e trasformazione.
Le citazioni che hai fatto di Giovanni della Croce, mi hanno colpito particolarmente perché proprio in questo periodo ho ripreso la “Salita al Monte Carmelo” e mi sono fermata davanti a quei versetti così sconvolgenti e indicati dal santo come la via per giungere all’Unione.
E ora, mi trovo in piccole esperienze di quel “per giungere a ciò che non sai, devi passare per ciò che non sai”…
Non so se sono riuscita ad esprimermi con chiarezza.
Comunque grazie di cuore!
Un abbraccio pieno d’affetto,
Agata
Cari amici,
un paio di domande di chiarimento (sopratutto bibliografico). Quali sono i titoli che Marco ha consigliato durante questo incontro? Io ho annotato i seguenti, ma non sono sicuro di aver capito bene:
– Gerhard Panderlöwe, fenomenologia delle religioni (CERCANDO SU INTERNET NON TROVO NEANCHE IL NOME DELL’AUTORE COME ESISTENTE, PROBABILMENTE HO ANNOTATO QUALCOSA DI SBAGLIATO)
– Avilleseau, tradizione indù e mistero cristiano (ANCHE DI QUESTO TESTO AUTORE TROVO TRACCIA SU INTERNET.. anche qui ci sarà un errore…)
Una domanda tecnica a Marco:
Quali sono gli 8 passaggi dello Yoga a cui fai accenno? Perché noi nella nostra meditazione abbiamo “solo” 5 passaggi e non 8?
Ciao Emanuele
PS per Marco: sappi che avrò la pazienza di aspettare il settimo anno, e sarò senza pietá nel fare domande sulla teodicea, tema che mi interessa molto ;-P
… un’utlima domanda: Marco parlava di un suo “post” riguardo alla affermazione del Padre Benedettino, secondo la quale Dio avrebbe punito gli italiano con il terremoto. Dove trovo questo post? Postreste quantomeno mandarmi il testo?
Grazie Emanuele
Caro Emanuele,
il post di Marco è stato pubblicato su Facebook il 6 novembre (te lo copio qui di seguito).
Per quanto riguarda gli autori, si tratta di Gerardus van der Leeuw e di Henri Le Saux (il titolo esatto è: Tradizione indù e mistero trinitario).
Gli 8 passaggi della tradizione yogica, secondo lo Yoga Sutra di Patanjali, sono Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. Ovviamente siamo all’interno del sistema filosofico dell’induismo, un po’ diverso dal nostro orizzonte, anche se possiamo trovare molte similitudini con i precetti, le raccomandazioni morali, e il cammino mistico della spiritualità cristiana.
La nostra pratica completa prevede 10 stadi, di cui i primi cinque propriamente meditativi. Nel libro Yoga e preghiera cristiana è possibile approfondire il senso di queste differenze.
Ti aspettiamo al 7° anno, ben felici di assistere ai tuoi ‘assalti’ teorici!
Un abbraccio e buona giornata a tutti!
Paola
FB Darsi Pace
Pubblicato da Marco Guzzi · 6 novembre alle ore 9:35 ·
D’accordo Padre Cavalcoli
ha detto una cosa molto sgradevole,
parlando di castigo divino
in merito al terremoto. Ma
vogliamo anche ricordare
che questa dottrina
di un Dio che castiga gli uomini
con ogni genere di sventura o catastrofe
è stata tranquillamente
e ininterrottamente predicata per secoli
da papi e da santi? Benedetto XV, ad esempio,
scriveva durante la Prima Guerra Mondiale:
“le private sventure
sono meritati castighi,
o almeno esercizio di virtù per gli individui,
e i pubblici flagelli sono espiazione
delle colpe
onde le pubbliche autorità e le nazioni
si sono allontanate da Dio”.
E ancora Giovanni Paolo II dichiara:
“Dio ricorre al castigo
come mezzo per richiamare sulla retta via
i peccatori sordi ad altri richiami”.
Per non parlare di san Tommaso d’Aquino:
“Quando è tutto il popolo che pecca,
la vendetta va fatta su tutto il popolo,
come furono sommersi nel mar Rosso gli Egiziani
che perseguitavano i figli d’Israele,
e come furono colpiti in blocco gli abitanti di Sodoma;
oppure va colpito un numero rilevante di persone,
come avvenne nel castigo inflitto
per l’adorazione del vitello d’oro.”
Insomma l’insegnamento della Chiesa
appare non poco confuso:
da una parte si ribadisce
la dottrina del castigo di Dio
– che meritiamo per i nostri peccati,
come ripetiamo ad ogni confessione -,
e poi però la si nega scandalizzati
alla prima occasione concreta.
Dobbiamo cioè capire molto meglio
come sia possibile
da una parte liberare Dio
dalla sua immagine punitiva e arcigna,
e dall’altra però non negare
che un qualche nesso tra le nostre colpe
e i mali che soffriamo nel mondo
deve pure sussistere.
Questo salto del pensiero è possibile.
Marco Guzzi
Grazie Paola!! 😀
Scusate, ho dimenticato una cosa (per me) importante: sapreste dirmi da quali opere/articoli/interviste Marco cita Tommaso d’Aquino, Benedetto XV e Giovanni Paolo II nel suo post? Potreste mandarmi le referenze esatte per favore?
Emanuele peronalmente non so aiutarti tranne che per la citazione di Papa Govanni Paolo cioè:
Era il 13 agosto 2003 e Papa Wojtyla nella consueta Udienza generale del mercoledì, svolta a Castelgandolfo dato il periodo estivo, così si esprimeva commentando il Libro di Tobia: “Lungo tutto il Cantico del capitolo 13 di Tobia si ripete spesso questa convinzione: il Signore «castiga e usa misericordia… castiga per le vostre ingiustizie ma usa misericordia a tutti… ti ha castigata per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per i figli dei giusti» (vv. 2.5.10). Dio ricorre al castigo come mezzo per richiamare sulla retta via i peccatori sordi ad altri richiami.”
Ciao Gabriella
Caro Marco, con la presentazione della tua primogenita Gloria, hai toccato un tasto molto sensibile anche per me.
Nell’accogliere con un sorriso e simpatia questa tua gioia paterna, non posso fare a meno di chiedermi anch’io che padre sono stato, o che ancora sono con la mia terz-ultima figlia che penso all’incirca dell’età della tua primogenita , ma ancora nel pieno della sua faticosa e dolorosa ricerca di sé.
Per molti anni , con la mia povertà di padre , più etico che empatico, sono rimasto senza parole dietro la porta chiusa che c’era tra noi. Una porta che quando veniva aperta , o alla quale bussavo maldestramente, mostrava solo il drammatico dolore della nostra incomprensione.
Eppure in questa nostra sofferenza , oggi mi accorgo, ci siamo aiutati a crescere nella scoperta delle nostre differenze e similitudini , non più temute, ma accolte , almeno da parte mia, come il dono di una reciproca generazione, che una figlia dona al padre e il padre alla figlia. Insomma , come avviene nella dinamica del mistero trinitario relazionale che ben spieghi in questo terzo incontro.
Per anni ho vissuto l’impotenza di un padre escluso, tenuto lontano, particolarmente temuto dal mutismo della mia terzultima figlia che allora non capivo, ma che oggi , grazie anche al lavoro di del triennio di base, scopro invece lei ha vissuto profondamente quel percorso iniziatico di morte e rinascita, che io contemplavo ma dal quale mi teneva a distanza dal suo, perché lo doveva vivere dentro il suo proprio corpo.
Quel passaggio insurrezionale, a cui l’urgenza della vita ci richiama a tutte le età, per rifondare la nostra vita dall’interno della nostra anima e della nostra mente, per la salvezza dei nostri corpi e dello stessa vita del pianeta – specie in tempo di ” Trump-ismo” .
Dopo lunghi anni di silenzi, di vissuti di paterna e umana impotenza, ma non solo di sofferenza, ma anche di verità reciproche , per pudore, tenuteci nascoste, scopro il miracolo di un nostro sguardo nuovo, tra di noi, finalmente più affettuoso, poiché entrambi emersi da una morte che credevamo reale, mentre invece era solo il tempo di attesa nel grembo divino, dal quale stavamo per rinascere.
Così oggi, posso dire – grazie al miracolo della vita – in cui oso credere – che sono finalmente più capace di fiducia verso mia figlia, pià libero da paure ossessive, più consapevole della bontà del percorso interiore di trasformazione che anche mia figlia, a modo suo, sta compiendo pur diverso dal mio, per la ricerca del suo Io autentico, viscerale, spirituale, quelle che lei dice magico, quello che conta.
Insomma, consapevole anch’io del mio e suo stesso cammino trasformativo , per il quale oggi , sento di ringraziare il Signore Gesù, e tutte le persone credenti o non credenti, non mi importa, che hanno saputo donare a mia figlia e a me , parole di vita e gesti concreti di vicinanza e di nuova relazionalità, più capace di condividere emozioni e affetti.
Grazie ovviamente anche a te, caro Marco, tipo tosto che cerco sempre di interpretare senza mai , per fortuna, riuscirci, e alla tua simpaticissima figlia Gloria, gioiosa di Darsi Panni , bella metafora del darsi anche un nuovo abito esteriore, dopo aver cambiato quello interiore.
Un caro e affettuoso abbraccio a papà Marco e mio maestro. Ti ascolterò questa sera , con altri amici del gruppo di Palazzolo , dalla platea della tua conferenza a Bergamo ,
Ivano
Ciao amici di DP …
Mi sono presa il tempo questo pomeriggio per leggere i vari e ricchi post e non ho che da dire grazie per il bene che fa a chi li legge e comprende un pezzetto in più.
Il tema del “farsi vuoto”, ancora tanto velato per me, mi è rimasto dentro da quando ho ascoltato la registrazione del terzo incontro e ieri mi trovavo con il gruppo dei volontari che fanno visita agli anziani della borgata per commentare la Parola di questa seconda domenica di Avvento ed è stato automatico per me leggere il Vangelo di Matteo (3,1-12) e ritrovare il “vuoto” come condizione per fare un passo avanti, per fare spazio ad un Tu che molto spesso do per scontato.
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Farisei e sadducei sono uomini della religione, uomini con un ruolo ben preciso al tempio, nelle “cose di Dio” e danno per scontata la loro appartenenza e dunque il fatto di essere a posto, salvati automaticamente, privilegiati, santi. Non sanno fare il vuoto, dentro di loro c’è la presunzione, quella stessa che ritrovo in me, non senza un po’ di disagio e vergogna, quando mi sento a posto, perchè ho fatto tutto quello che dovevo fare. Altro che vuoto, altro che conversione, che è poi quel passaggio di morte e di vita!!!
Come loro, mi ritrovo a dare per scontato le mie origini cristiane, il mio cammino all’ombra di persone che mi hanno educato alla fede, la scelta di vivere con un determinato stile, poi l’adesione alla chiamata di Dio nella consacrazione religiosa … Ma scontato non è. Nel ringraziare Dio per le persone che mi hanno introdotta alla fede, che mi hanno parlato di Dio con la vita più che con tante parole, resta da parte mia un sì che va detto momento per momento, in quel vuoto cercato e ancora non raggiunto, dove parole, dialoghi interni, moti del cuore di un cuore ancora troppo ego-centrato fanno da padroni e dove con caparbietà, giorno dopo giorno, momento dopo momento, riparto da capo e provo a fare SILENZIO.
E allora ecco il senso di un abbigliamento di Giovanni il Battista un po’ demodé. La sobrietà nello stile di vita, il digiuno, la penitenza non sono atti di culto a Dio per farsi accettare, per ottenere benedizione e meriti al suo cospetto, ma una scelta che va nella linea del “fare il vuoto”, uno stile di sobrietà che non penalizza, ma permette di non riempirsi di cose, di sicurezze, di certezze, di “polizze per il futuro” invece che dell’Essenziale.
Pensieri arruffati!
ciao a tutti e grazie sempre!
Mi sono resa conto che sono rimaste le virgolette vuote, perchè avevo copiato e incollato un passo del brano del Vangelo che poi non è rimasto, una volta cliccato il commento.
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”».
Ciao cara Damiana, grazie per la profonda riflessione che ci doni in questo periodo di avvento.
Le tue parole, altro che arruffate, si sintonizzano armonicamente con i passi che stiamo compiendo in questa terza annualità e che ci stanno conducendo verso la reale esperienza contemplativa dei misteri della nostra salvezza, la “venuta” della nuova umanità in noi.
L’ esperienza dello spogliamento, lo svuotamento di ogni pensiero che ci tiene ancorati allo scoglio del nostro giudizio, è l’azione concreta che ci permette di scoprire l’infinità e l’essenzialità della vita vissuta nella fede, nell’abbandono e assorbiti nel silenzio siamo semplicemente in relazione con Vita.
Buona festa dell’Immacolata Concezione per vivere fiduciosamente l’attesa della venuta di Cristo in te, in ognuno di noi, polizza sicura per una vita incessantemente luminosa.
Un caro saluto. Vanna