16 thoughts on “Sesto incontro (31 Gennaio)

  1. Sto sistemando ora gli appunti del sesto incontro.

    Non so, a me pare che anche qui “i tempi si fanno brevi”. A questo punto del cammino, ogni cosa è pesante come un sasso. Pesante nel senso di “pondus”, un peso di argomenti e motivi, per cui svicolare è sempre più difficile. Far scivolare queste cose senza far nulla, è sempre più faticoso.

    C’è una parte di me che tenta – caparbia e cocciuta – l’antica strategia: assorbire tutto, tentando di farlo rientrare nel vecchio sistema. Lo sento. Sento anche però che questo gioco è sempre più faticoso. In qualche modo la pelle incomincia a cambiare, piaccia o no (spesso non piace troppo, in verità).

    C’è la sofferenza, per me c’è. Poco conforto dalle usuali frasi “ma guarda che è così per tutti…, pensi mica di essere speciale… ” Che mi importa degli altri, in fondo? Ma che mi importa di tutti, quando sto in questo stato? Momenti di perdita di senso, come vuoti d’aria, vai giù a picco che ti fa male lo stomaco. Niente sembra vero, niente niente. Questo lavoro, altri percorsi, niente. Tutto una declinazione ardita per riempire il vuoto, che tanto vince, stai sicuro. Per occupare il tempo, fino a che tanto finisce. Lo senti, che tutto viene inghiottito da un nonsenso cosmico, tutto e pure te.

    Poi qualcosa fa opposizione alla caduta, ti riempie da sotto, gonfia le vele, riprendi quota, piano piano. A volte tutto questo lavoro si incastra mirabilmente con ogni altro tuo lavoro, culturale psicologico e spirituale, e d’un tratto sei “in pieno volo” (velata autocitazione, dài).

    Allora tutto si mette a posto.

    Curioso, questo lavoro. Quando vai su, stai su. Quando vai giù, ora, vai ancora più giù. La gamma dinamica è sempre più espansa, accelerata. Come il movimento delle galassie nello spazio. Come stare sull’otto volante (e io che per paura non ci sono mai salito, chi mi ci ha messo ora?)

    E la sofferenza. Che poi ti possono girare le scatole. Vai giovedì alla tua seduta, e ti viene detto “guardi che per un po’ potrà stare un po’ peggio, è completamente normale”. E tu dici… e che devi dire? Paghi, e stai pure peggio? Beh ti fidi, fai buon viso e ti fidi. Poi ricordi Scardovelli, in un angolo della mente, in quel video, che diceva che se non ti fidi ogni terapia psicologica va a farsi benedire.

    D’accordo.

    Poi non è più giovedì ma è appena domenica mattina e ti trovi davanti un Marco Guzzi che ti dice sornione ed allegramente paradossale che… “ti senti peggio? Benissimo! Aumentano le tua paure? Fantastico! Così deve essere!” Che uno gli girerebbero un po’ i cabasisi, e magari gli girano davvero un po’.

    Se non fosse che in qualche modo, è confortato.

    Se non, che qualcosa sta davvero cambiando. Che ‘sta cosa è vera, che la realtà è totalmente intricata e non lineare, è ribollente come un campo quantistico, e una strada che va in sù presenta molte parti che vanno in giù. Te lo scordi di andare solo in leggera salita, come vorresti. In progressione lineare di saggezza, come ti piacerebbe. Te lo scordi di non fare oscillazioni.

    Le fai, le fai.

    Poi dopo che ti è appena passato il mal di pancia per l’otto volante forzato, vai al lavoro e ti chiedi perché il tuo collega sembra tranquillo e sereno (più o meno) senza tutto ‘sto lavoro qui. Torni a casa, e ti chiedi perché tua moglie è come il tuo collega (non proprio uguale, chiaro, non l’avresti sposata sennò – anche se non ti accanisci con i matrimoni gay, non fa per te). E perché tu stai lì che annaspi, vai avanti, torni indietro, ricominci. Fatichi.

    E perché?

    Che poi lo sai, perché. L’hai capito. Non ti sta bene ma l’hai capito. Perché tocca a te. Perché sei un punto di lavoro cosmico. L’universo si lavora attraverso di te. Sei stato scelto, non c’è scampo: tu vivi per questo lavoro, letteralmente. Se sei vivo, se ti danno vita, è per questo. In questo lavoro scavi la tua impronta originale, ritrovi te stesso, la tua forma.

    L’unica, che ti interessi veramente. L’unica che ti permetta di guardare tutto. L’unica, dalla quale invadi, inondi l’universo con la tua nota, la tua vibrazione.
    Diversa da ogni altra.
    Unica.
    Tua.

  2. A proposito di come concludi questo forte e appassionato sfogo, caro Marco, ¥ e per pura coincidenza proprio stamattina ho letto una citazione di Frere Roger di Teize’ che diceva pressapoco così:
    “Colui che si mette ad ascoltare quello che succede nel suo intimo più profondo, capisce di essere qualcosa di unico”.
    Ascoltando le tue parole così come la toccante testimonianza di Agata mi rendo conto che è vero siamo unici, pur essendo parte di un tutto, e Dio ci vuole suoi figli ognuno con la sua unicità.
    Cogliamo la grandezza di tutto questo.
    Confidiamo in Lui e non molliamo!
    Un abbraccio caro

  3. Caro Marco, volevo solo aggiungere due piccole cose:
    1) ma tu scrivi proprio bene, perché non proponi alcuni post che siano una specie di diario di bordo del triennio?
    2) hai ragione: la via della conoscenza e della liberazione sembra una doppia spirale: più vai su e più vai giù contemporaneamente: il punto più abissale (la croce?) coincide col punto più alto della storia dell’uomo.
    Credo che ciò che ci può sostenere in questo vortice è solo un abbandono crescente, perciò stiamo riflettendo in modo nuovo sul ruolo della fede, e sulla sua straordinaria potenza.
    Un abbraccio. Marco

    • Grazie Marco, di cuore, e grazie a tutti per le belle parole che mi avete rivolto per il mio intervento sulla sesta lezione. A pensarci, il bello è che proprio un intervento meno “lavorato”, più spontaneo magari di altri, abbia potuto far passare efficacemente i concetti – o meglio lo stato d’animo – che speravo. Ma era un’esigenza interna molto forte, di poter condividere con voi.

      In questo senso avere un ambito riservato dove poter intervenire liberamente scopro che è una grande opportunità, sopratutto di continuare il lavoro che viene rilanciato durante gli incontri.

      Proverò a sottoporre qualche impressione a valle degli incontri, e se sarà di utilità comune sarò contento. Contento di fare un lavoro (questo di scrivere) che certo aiuta me e – se e quando Dio vuole – anche altri.

      Proseguendo in questa doppia spirale, in ogni modo, la cosa più onesta è che non so dove vado a finire, non vedo il percorso oltre una curva o due… A volte questo mi spaventa, a volte però capisco che è l’unica cosa che rende il vivere interessante. Paradossalmente (non so se stavolta riesco a spiegarmi) non ho nemmeno la certezza confortante di diventare col tempo un “darsipacista” sempre più convinto ed inossidabile (se pur questo esiste): non è per dire, ogni volta è veramente una lotta, tra tendenze radicalmente opposte. Io sto a guardare e vedo chi vince.

      E ogni volta che torno qui, lo sento, è una battaglia vinta.
      Ma la guerra è lunga. Molto lunga, temo: una vita.

  4. Si si Marco (Castellani), accogli la proposta di Marco (Guzzi) “ma tu scrivi proprio bene, perché non proponi alcuni post che siano una specie di diario di bordo del triennio?” ?
    È vero, scrivi bene.
    Ieri l’altro ho finalmente visto i filmati e scaricato e poi riascoltato l’audio. Le parole udite adesso stanno lavorando “la mia pasta”, in silenzio come lievito. Sto attenta che nulla turbi il processo, mi provo a mantenere la temperatura al giusto grado e a lavorare l’impasto quando è necessario. Spero di non rovinare tutto e qualora dovesse accadere mi conforta l’idea di sapere, con certezza, che ricomincerei da capo.
    Scrivo perché voglio riferirvi una parte dell’omelia sentita stamane. Il sacerdote ha dato una lettura del Vangelo (Lc 5, 1-11) che mi ha emozionato Mi dispiace solo che non saprò dire bene le sue parole, abbiate pazienza e metteteci del vostro.
    Ha detto più o meno così: Immaginatevi queste due barche sulla sponda e i pescatori sfranti, sulla riva anch’essi. Potete pensare alle due barche come a una sola persona, le due parti compresenti in ognuno di noi. Gesù sceglie una delle due parti per insegnare, scostato dalla riva, staccato dalla terra. Cos’è la sponda? È il posto dove preferiamo stare, dove ci sentiamo sicuri, ci aggrappiamo alla costa che conosciamo bene, abbiamo paura di spostarci. Gesù invita Simone ad andare al largo e lì, dove l’acqua è più profonda, gettare le reti. Avete presente l’acqua profonda? È scura, fa paura, vi abitano i mostri, i nostri mostri, lì Gesù ci invita ad andare. Simone l’avrà guardato strano no? Ma guarda questo, abbiamo faticato tutta la notte senza prendere nulla e questo mi dice, in pieno giorno, di andare a gettare le reti, al largo per giunta, che poi che ne sa lui di pesca, faceva il falegname no? si pesca la notte o all’alba se vuoi tirar su qualcosa. Però poi gli scatta qualcosa e nonostante l’evidente assurdità della proposta decide “vabbè sulla tua parola farò come dici”. Capite? è una assurdità ma “sulla tua parola” faccio come dici. E Simone va al largo, dove l’acqua è profonda, dove ha paura di andare, ma è lì che le reti si riempiono di pesci, tanti, una cosa mai vista, così tanti che anche l’altra barca, l’altra parte di lui, quella che era rimasta a riva si riempie di pesci. Ecco provate anche voi a dire “Gesù, sulla tua parola, faccio come dici”
    Finito.
    Vi abbraccio
    Maria

  5. Siamo arrivati già al sesto incontro e io non ho ancora condiviso le mie riflessioni o semplicemente una testimonianza sulla “questione” della fede. Anch’io, monaca, scopro, come spero tutti, il bisogno di interpellarmi continuamente sulla fede, sul mio rapporto personale con Dio. Da consacrata dovrei saper raccontare molto sull’esperienza religiosa. Eppure, se c’è una cosa su cui continuamente cerco di togliere il velo è proprio il mistero la mia “vocazione” religiosa. Raccontarla è stato sempre molto arduo per me. L’unica cosa che son riuscita a fare è stato risalire a tre grandi luci che a un certo punto della mia vita – un tempo di particolare crisi – hanno illuminato il mio cammino aiutandomi a “scegliere” e “decidere” cosa fare e verso dove camminare. Queste tre luci sono il Rosario, l’Eucaristia e la Parola di Dio. In sintesi, tutto il mistero dell’Incarnazione, a partire dalla preghiera con Maria, sino alla presenza reale di Cristo nella mia vita con il suo Corpo vivo, risorto e la sua “Parola di Vita eterna”. Dal momento in cui ho deciso di mettere la mia vita sotto queste luci mi sono resa conto che di Via ce n’è solo Una, e quella volevo seguire: la via della Vita e della Libertà. Io ho imboccato questa via attraverso la scelta monastica che mi si era presentata come la possibilità di scendere in profondità, nel mistero di me stessa, di Dio, dell’uomo. Paradossalmente sentivo che entrando nel “chiuso” di un monastero, dietro le grate avrei trovato la libertà da tante prigionie da cui volevo essere sciolta. Ero consapevole che per entrare dovevo voltare le spalle al “mondo”, ma non il cuore, visto che per liberarlo dal non senso del male Cristo ci è entrato e aveva dato la sua Vita. Fu un voltare le spalle soprattutto alla vita limitata che stavo seguendo per vivere nell’”onnipotenza” della preghiera – avevo fatto esperienze importanti con la preghiera del Rosario – e fondare la mia esistenza in Parole di Vita eterna perché nella mia crisi non volevo rinunciare alla vocazione alla VITA… e quella VITA Vera la desideravo per tutti gli uomini e donne. Non avrei mai pensato che proprio su queste tre Luci – veri e propri FARI – avrei dovuto essere provata e purificata. E’ duro essere provati sulla bontà e efficacia della preghiera. E’ duro essere provati sulla Verità della parola di Dio. E’ duro essere provati sulla reale presenza di Cristo in me, accanto a me. Ma è proprio in quelle prove che, quando si presentano, scopro che rimanere FERMA nella FEDE e nell’Amore di Dio, mentre tutto sembra contraddire ciò in cui credo – perfino la stessa Bontà di Dio – è quanto di più ELEVATO e UMANO si possa sperimentare. Diversamente si cade nella tentazione di credere di essere in un campo di concentramento, prigioniera, anche se in quel caso la gabbia non è fatta di grate o porte sprangate, ma dall’EGO che ha paura di entrare in relazione con la verità di sé, di Dio e del prossimo.
    Il cammino con tutti voi di Darsi Pace e con tutti gli strumenti che offre, mi sta interpellando, ogni giorno, a ogni respiro, su quelle profondità e quella libertà che mi avevano attratto anni fa. Ho fatto entrare la meditazione nella mia preghiera, o viceversa… Quanto amo pregare i Salmi nella liturgia tanto soffro quando talvolta mi accorgo di non essere tutta lì, in quelle parole pronunciate con la bocca, ma persa in un chiacchiericcio interiore “egocentrato”. Allora l’atteggiamento meditativo – postura, consapevolezza di me di fronte a Dio, e respirazione – mi salva dal naufragio in pensieri inutili e automatici e mi riporta al dono del momento presente in cui l’ancora di salvezza è proprio l’atto di fede nel Signore Gesù Cristo presente nelle Parole pronunciate, nell’Eucaristia e nella mia umanità fragile.
    Son felice di fare con voi questo cammino di discesa nelle profondità dove morte e Vita sono in continuo duello, e dove so, per FEDE e un po’ anche per esperienza, che l’ultima parola è RISURREZIONE.
    Un abbraccio a tutti
    elisabetta

    Mi scuso se questa condivisione non è in dialogo con i commenti precedenti che non ho ancora avuto modo di leggere ma lo farò presto. Da qualche passaggio letto intuisco che ci sono condivisioni interessanti e utili a tutti.

  6. Una delle cose che sto ruminando di più in questi giorni, nel tentativo ri-preso di trovare una mia personale dimora nel cristianesimo, è il rapporto con la tradizione, a cui è tornato Marco Guzzi in maniera incisiva negli ultimi due incontri.

    “Tornando avanti” sintetizza molto bene questa attitudine.

    Mi colpisce realizzare come il rapporto creativo con la tradizione appaia davvero come l’unica posizione matura ed “adulta”, come diceva Marco. Perché alla fine, l’atteggiamento di chi verso la Chiesa ha solo astio e risentimento (mi verrebbe da dire, con qualche ragione storica) e quello che aderisce incondizionatamente e irriflessivamente a qualsiasi pronunciamento di qualsiasi porporato, c’è un tratto comune, mi pare. Ed è qualcosa di non sviluppato, di non accudito. Come una scommessa abortita, lasciata lì. Una possibilità di crescita, inevasa.

    E Marco diceva qualcosa come “guardate che è è sempre stato così, è il vero cristianesimo” (dico un po’ a memoria). Non bisogna aver paura di cercare il nuovo, di rischiare nella “nuova evangelizzazione”, ma rischiare davvero.

    Poi le evidenze arrivano, quando sei in ricerca. Cito solo una “coincidenza” che mi ha sorpreso. Nella mia comunità stiamo rileggendo in questo periodo un testo di Giussani, “Perché la Chiesa.” Mi imbatto stamattina in questa frase, a proposito della tradizione, dove in riferimento ai primi cristiani, scrive

    “Da un lato, lo abbiamo visto, il fenomeno nuovo che stava nascendo attingeva con sicurezza alla sua tradizione, perché da essa sgorgava direttamente, dall’altro ne sconvolgeva le basi con una diversa concezione della sua identità”.

    Allora capisco come questo è sempre stato nella natura del cristianesimo. Questo sconvolgere le basi è in realtà il più profondo rispetto della sua portata. Cambiare è seguire, in un certo senso. Probabilmente, nel suo proprio senso.

  7. Riascolto gli ultimi 2 incontri : sono molto densi e…impegnativi.
    Sei incorreggibile, mi dico, ricordi che Alessandro ti ha fatto notare anno scorso che tu ” fai dell’altro?” .
    Ebbene, io faccio ancora e ANCHE dell’altro: perchè il mio sguardo è fisso sui volti, come quello di chi, fissa un quadro, e immobile, lo scruta col fine di farlo parlare, per riceverne una qualche verità.
    Ma in questo caso, il quadro è vivo, e parla e comunica da sè: l’emozione e la com-passione con gli amici, fratelli, padri, madri, è triplicata. Sento tutto il peso, la fatica, l’assumo tutta…. come se io non l’avessi già di mio….
    Mi risuonano nell’orecchio le parole provenienti da quei volti, attoniti…:

    ” E’ un tuffo nell’incognito….deve essere fede libera, come fai a dire ” io sono GIA’ guarito”, mi è difficile, come si fa avere “sta fede? ”

    Il 2° attore dice: ” come si fa poi a ritornare nella storia NUOVI? “.

    Per me, dico, è importante, in questo passaggio, anche che una – se pur limitata – realtà categoriale possa supportare e confortare la difficoltà del percorso di fede.
    Per me ripeto, è stato di aiuto l’incontro con i monaci camaldolesi, grazie a loro ho fissato nella mente e sempre meditato questo pensiero:

    la PRECEDENZA di Cristo, la pasqua che si è data nel mondo per mezzo di Dio-uomo era GIA’ DATA in Dio nell’eterno, nella Trinità, E’ la precedenza ONTOLOGICA, cioè dell’Essere che entrando nel tempo , con Cristo, diventa KRONOLOGICA ;
    allora noi, per effetto di “quella precedenza” , di “quella” Pasqua che è GIA’ e PER SEMPRE, noi, a nostra volta , nei nostri continui risvegli, e nella ns pasqua, noi, UNITI A CRISTO , entriamo in un ” ALTRO” tempo , il KAIROS, che è la sincronicità dell’eterno nel tempo.

    Tuttavia, accanto a queste fatiche iniziatiche, non posso fare a meno di fissare lo sguardo anche su chi, sta lavorando con tutta la passione e la certezza che… ce la si può fare. Sto parlando di Marco G . il quale, facendo parlare anche il corpo ha esclamato:
    ” se io non facessi esperienza del fatto che il credere……..NON STAREI A FARE TUTTA ‘ STA FATICA “.

    Grazie a Marco e a tutto lo staff, per credere e trasmettere questa cosa.
    Grazie per l’attenzione e il saluto a noi telematici che riceviamo nell’aprire l’incontro.
    Giovanna

  8. Caro Marco, dopo tutto quanto ascoltato in questo sesto incontro (ma vale anche per tutti gli altri), non posso che dirti GRAZIE! Grazie per tutto quello che stai facendo per noi, per l’aiuto che ci dai in questo ‘apocalittico’ cammino, grazie perchè veramente QUESTA è l’Opera Divina di cui ti sei fatto strumento. I tempi sono veramente ‘catastrofici’ e come non mai tutti, credo, avvertiamo il bisogno, o meglio, la FAME di quella Parola di Vita che tu sai bene come offrirci, perchè…..”Non di solo pane vive l’uomo…..”! Non sto qui a farti una ‘sviolinata’ ma ho sentito forte e doveroso in me il senso di ‘gratitudine’, appunto, per la bellissima realtà di “Darsi Pace” che, attraverso di te, il Signore Stesso, ne sono convinto, ha voluto. E, a proposito di catastrofi, ne approfitto per segnalarti un titolo, anche se forse questa non ne è la sede, ma che è tutto un programma: “Catastrofi generative”, Ediz. Transeuropa, di AA.VV. tutti, più o meno, di ispirazione girardiana e a cura di Maria Stella Barberi. Un riconoscente abbraccio, Ettore.

  9. Grazie a voi, carissimi amici, sì, siamo una strana compagnia di nomadi, sbandati, ricercatori, corsari … forse ciò che ci accomuna è l’amore per la libertà e per la ricerca ..
    Un abbraccio. Marco

  10. Fuori dalla finestra della mia camera c’è una montagna che si erge severa e bellissima, nei suoi colori e nella forza della sua roccia.
    Ora è contro sole scura e ferma, sicura: mi affascina tanto e allo stesso tempo
    ne avverto quasi un senso di timore.
    Salire fino in cima è impegnativo e appassionante e il panorama da lassù è mozzafiato tra il mare che si perde nell’infinito e la città che dall’alto sembra
    persino più bella, più ordinata, più libera da contraddizioni.
    Quelle rocce, però, da un paio di settimane, mi richiamano un incidente, un dramma familiare che, per Caso, mi ha riguardato, ignara di quanto potesse coinvolgermi.
    Ho ricevuto una telefonata da un’amica lontana: “oggi stanno venendo a Palermo un mio collega di lavoro con sua moglie a recuperare il corpo della figlia morta lì in vacanza. Posso parlare loro di te e dare il tuo cellulare?”. Come dire di no … E ha aggiunto: “”forse non ti chiameranno, ma puoi essere per loro un riferimento in questa situazione drammatica”. Eccome se hanno chiamato: “siamo all’ospedale, puoi raggiungerci?”.
    Ci sono situazioni della vita in cui siamo coinvolti, oserei dire, alle volte, travolti. Questo nuovo anno, da che è iniziato, ha portato con sè anche passaggi duri, domande di senso, gesti che chiedono di essere compresi-decifrati-soddisfatti in una risposta.
    Darsi pace è fondamentale per essere a nostra volta strumenti di pace. E la pace non ce la diamo da soli. E la pace è una continua guerra (sembra così strano!) contro i nostri fantasmi interni, per farli tacere, per indebolirli, per accompagnarli a poco a poco alla porta del cuore e lasciarli andare.
    E quella montagna tanto affascinante e tremenda è l’immagine cara che mi porto dentro: il cammino che stiamo facendo è faticoso e affascinante, sofferto e mozzafiato, pieno di ostacoli e tuttavia possibile.
    Cari amici, in questi primi mesi dell’anno, sperimento fatica: fatica in alcune relazioni impegnative, fatica nell’attività pastorale che è arrivata ad un punto di svolta (dove svoltare?), fatica in alcuni eventi sorprese non sempre simpatiche. Tutto questo rallenta il mio desiderio di vivere con sistematicità il percorso. La fedeltà alla pratica a volte è la sola cosa che rimane, l’ascolto degli incontri e gli approfondimenti ultimamente sono molto faticosi. Oggi mi sono presa finalmente il tempo per concludere la seconda parte del sesto incontro. Ho letto con gratitudine gli interventi scritti e ringrazio il Signore per questo cammino, per i compagni di viaggio, per le guide che aprono la pista e tengono il passo.
    Un abbraccio a tutti.
    dam

  11. Ciao a tutti. Intervengo solo ora perchè sono rimasto un po’ indietro con il seguire le lezioni telematiche. Io trovo che questo percorso, e in particolare la scelta di fede, sia una cosa di fondamentale importanza in primo luogo per la mia vita. In particolare mi sta aiutando nel mio percorso di “discernimento”, peraltro molto faticoso, tra quando il mio dialogo interiore è di tipo egoico e quando invece accade che una parola non mia, ma che mi rivela il mio vero io, mi parla. Mi chiedo però anche se una passo così importante come quello della scelta di fede debba rimanere solo un affare che rimane nel nostro intimo o debba essere maggiormente condiviso tra noi del percorso allo scopo di superare le inevitabili difficoltà che tutto ciò comporta.
    Alessandro Ugolini

  12. Caro Alessandro, il lavoro che facciamo è specificamente rivolto ad attenuare le difficoltà che ci impediscono una più vera, profonda e vitale relazione con l’altro.
    Come tu giustamente hai sperimentato imparare a riconoscere lo stato in cui siamo al momento è già un bel traguardo ma sicuramente condividere le sensazioni, emozioni, riflessioni che la scelta di fede fa scaturire in noi lo sarebbe molto ma molto di più.
    Non rimarrà a lungo un fatto intimo perchè è insito nella fede la spinta missionaria che in un modo o nell’altro vedrai si manifesterà chiaramente in ognuno di noi, a volte basta che qualcuno inizi a condividere per dare il via a riflessioni di grande profondità.
    Quindi, se c’è qualcuno che vuole aprire il cuore………questo è il posto giusto.
    Un abbraccio Ale

  13. Ciao Alessandri! Colgo l’invito di Ale Ciarella per iniziare a condividere come richiede Ale Ugolini. Scrivo a getto condividendo quello che ho nel cuore.

    In questo periodo in cui Darsi Pace ripropone la scelta di fede, una delle parole che più mi hanno colpito di Marco e con cui mi ritrovo è “Per me la fede è uno stato, un modo per trasformarmi se no non mi interessa”. Ecco io mi trovo esattamente lì, la fede proprio come stato mi ha sempre accompagnato, è stata sempre come una musica di sottofondo nella mia vita; a volte più alta, una voce chiara e forte che mi guidava, altre volte sfocata, altre volte muta, assente, dove rimaneva in me solo la desolazione, come il grido di Gesù sulla croce “Mio Dio perchè mi hai abbandonato?”

    In questo periodo spesso risuonano in me le parole di darsi Pace “lasciamoci plasmare dalle mani di Dio, diventiamo dei torrenti, dei canali”. Ascoltiamo la voce e capiamo cosa diventiamo nella giusta forma, scopriamo la nostra missione.

    Sento forte e chiaro che la missione su questa terra per me è ascoltare e accogliere le fatiche e le sofferenze degli altri. Mi sono trovata mille volte a fare questo contenitore e ancora adesso continua, da quell’incontro sul treno da cui nasce un’amicizia, da quella ragazza che conosco ad un corso per il lavoro e ci rivediamo a pranzo e mi racconta la sua vita, dicendomi ‘non so, non mi capita con altre persone, con te mi sono subito sentita accolta, capita e non giudicata’

    Sento che questo è il mio carisma, che mi è stato veramente donato, il mio modo di portare Gesù nel mondo, senza teorie, senza tante parole sul credi o non credi, solo accogliendo chiunque con quella misericordia che gli altri percepiscono ed è la Luce che è in me perchè da sola non ne sarei certo capace

    La scelta di fede per me è permettere a quella Luce di parlarmi anche se non è facile, anche se passo la maggiorparte del mio tempo nello stato egoico, anche se mi sento sempre in bilico e altalenante, Ma sento con chiarezza che Qualcuno parla in me se gli lascio anche solo qualche spiraglio

  14. Cara Laura rispondo separatamente ai tuoi due interventi perche entrambi molto profondi e richiedono una diversa riflessione.
    Si la scelta di fede è uno stato ecco perché va rinnovata continuamente e soprattutto non si dà per scontata.
    Ed è un bene questo riconoscere che niente è scontato bensì è un diamismo continuo,  tiene viva quella fede che altrimenti si trasformerebbe in un’ennesima illusione dell’ego.

    Sai è bello leggere cisa scrivi di te; non è facile riconoscere in se delle doti (quelle che al terzo anno chiameremo qualità spirituali) anzi è molto più semplice flagellarci puntando il dito sulle nostre negatività. Perché il nostro ego pensa: chi sono io per vantarmi? Che superba che sono! E così andiamo avanti paralizzati e non permettiamo al nostro io cristico di emergere.
    E invece il cammino spirituale così come lo intendiamo noi ci libera da tutto questo, certo il lavoro su noi stessi è essenziale ci porta a riconoscere le nostre maschere le nostre distorsioni ma al contempo, nel traferirci ad uno stato più integro, libera il “carisma” che ognuno di noi possiede ( come ben dici).
    Mi riconosco molto in ciò che scrivi, spesso capita anche a me sul lavoro, ma anche in altri contesti di essere una valvola di sfogo per le persone forse perché mi prendo a cuore la situazione e ascolto!
    E per questo mi è sembrato naturale dedicarmi al ruolo di formatore in Darsi Pace con tutti i miei limiti naturalmente ma con gioia. E chissà che anche tu non possa essere un domani una futura formatrice.
    Magari! Ti abbraccio

  15. Cara Gabriella, grazie per le tue risposte e per il tempo che doni come formatrice. E’ bello leggere le vostre risposte, tue e di Alessandro, sentirsi presi per mano in questo cammino, accompagnati.

    Grazie anche delle tue parole sulla possibilità di diventare formatrice, chissà, le vie del Signore sono infinite. Se mai un giorno accadrà, grazie a Darsi Pace, almeno sarà vero, calibrato. In passato infatti ho già messo in gioco le mie potenzialità un po’ da leader e trascinatrice. Mi sono ritrovata nelle associazioni di cui ho fatto parte a far parte del consiglio direttivo, a gestire ruoli ‘importanti’.

    Ora alla luce di Darsi Pace mi rendo conto di quanto queste qualità fossero ancora impregnate di distorsione, di desiderio di apparire, di avere un appagamento personale, di seguire un desiderio di perfezione e un eccessivo attivismo spesso autodistruttivo.

    In ogni caso grazie e ti mando anch’io un forte abbraccio!

I commenti sono chiusi.